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Morbosa Corrispondenza - Capitolo 18 Parte 1


di milflover95
14.06.2025    |    1.908    |    0 5.3
"” Alessio alzò lo sguardo, un misto di sorpresa e panico negli occhi..."

Mena 

“Ciao zia,” proruppe Alessio, entrando in casa.

“Ciao tesoro. Vieni, entra. C’è un piccolo cambiamento da oggi.”

Mena si voltò, lasciandogli il tempo di osservare — e sì, lo faceva sempre — la dolce curva del suo seno sotto la maglia leggera.

“Da oggi Toni andrà a lavorare da tua madre,” disse Mena, posando un piatto sul tavolo. “Quindi... le ripetizioni le farai con me.”

Alessio alzò lo sguardo, un misto di sorpresa e panico negli occhi. “Con... te?”

“Sì. Non ti preoccupare, non ti mangio mica.” Rise, e la sua risata aveva quel suono basso e carezzevole che faceva vibrare l’aria. “Anzi... sarà anche più semplice.”

“Semplice, zia..?”

“Massì, dopo pranzo potrai sfogarti senza nessuno che ti disturbi.” Gli sorrise con dolcezza, inclinando appena il capo. “È già tutto pronto in camera mia.”

Lui annuì, abbassando lo sguardo. Un rossore acceso gli salì fino alle orecchie. “Va bene... grazie, zia.”

“Non c’è di che, tesoro.”

Mena gli versò dell’acqua, fingendo di ignorare lo sguardo che Alessio le lanciava, o meglio, cercava di non lanciare. Quel giorno aveva messo una t-shirt leggera, annodata sotto il seno, e il tessuto del reggiseno spuntava appena — una scelta assolutamente casuale.

Quant’era carino suo nipote. Era un ragazzo dall’aspetto tenero e disarmante, di quelli che ispirano immediata simpatia. I suoi capelli biondini, morbidi e tagliati a caschetto, gli incorniciavano il viso sorridente che ricordava quella di un angioletto.

Mena sorrise tra sé e sé. “Vuoi iniziare subito con Geografia? O preferisci un po’ di Storia?”

Lui deglutì. “Geografia va bene.”

Le piaceva quell’imbarazzo. Era tenero. Alessio aveva quell’aria da ragazzo educato, un po’ impacciato, così diverso dalla madre, Teodora, rigida come una tavola di marmo.

Mena lo osservava con affetto, cogliendo in quel visetto così composto una bellezza delicata, quasi eterea. Nulla lasciava intuire che dietro a quell’apparenza dolce si nascondesse un porcellino che lasciava tracce inequivocabili sulla biancheria femminile.

Ognuno ha i suoi segreti, pensò Mena.

Suo figlio Toni, a quell’età, era più discreto. O forse, pensò Mena mentre lo osservava sfogliare il libro al contrario, solo più furbo.

“Concentrati, Ale,” disse, toccandogli appena la mano. “Comincia pure a leggere il capitolo, tesoro,” disse lei con voce tranquilla, senza voltarsi. “Io finisco di apparecchiare. Dopo pranzo... avrai tempo per tutte le tue cosette.”

Il tono era quello affettuoso e disinvolto che Mena usava da sempre, ma c’era un accento morbido, quasi colpevole, sulla parola “cosette” che fece arrossire Alessio prima ancora di emettere un suono.

Dal punto in cui si trovava, Mena poteva osservare il riflesso di Alessio nel vetro della credenza. Era seduto composto, quasi rigido, ma ogni tanto il suo sguardo cadeva.

Non sul libro.

Ma su di lei. Sulle sue gambe tornite, ancora abbronzate e lisce, fasciate da una tutina scura.

Era sbagliato? Forse.

Ma quegli sguardi la facevano sentire ancora accesa. Ancora osservata. Ancora desiderabile.
E mentre Alessio si umettava le labbra nervosamente per continuare la lettura, Mena si accorse che anche il respiro, dentro di sé, era appena cambiato ritmo. 

Mena si sedette infine di fronte a lui, incrociando lentamente le gambe. Le ginocchia levigate si sfiorarono sotto il tavolo, e per un attimo Alessio trattenne il fiato.

“E poi dopo,” aggiunse Mena, piegandosi leggermente verso di lui per sistemargli una ciocca, “potrai rilassarti. C’è tutto il pomeriggio. La camera è fresca, il letto è pronto, e so che... beh, ogni tanto serve.”

Alessio arrossì per l’ennesima volta. “Sì… lo so. Grazie, davvero.”

Il modo in cui lo disse, con voce sottile e quasi rotta, fece sorridere Mena. Quel rossore goffo e pieno di tensione la divertiva, la inteneriva.

E le riaccendeva, dentro, un’eco lontana.

 

Lia

La porta della camera si socchiuse piano, con un lieve cigolio appena udibile. La candida mano esitante fece capolino, seguita dal sorriso e dal volto pallido di Lia che stringeva un sacchetto bianco e verde, ancora umido di pioggia.

Suo padre era seduto sul bordo del letto con un libro in mano, le gambe distese e la schiena leggermente incurvata in avanti.

Indossava una felpa sportiva di cotone grigio, leggings blu per uomo gli coprivano appena le caviglie, e i suoi piedi si muovevano piano, accompagnando il ritmo dei suoi pensieri.

Alzò lo sguardo e le sorrise. I capelli, brizzolati, gli cadevano sulla fronte con un’aria quasi giovanile.

“Temevi avessi bevuto, vero?” Chiese lui con un mezzo sorriso, abbassando il libro.

”Eh..”

“Sono giorni che bevo solo acqua tonica. Che brutta fine, la mia!” Replicò lui.

Lia rise sottovoce, avvicinandosi con passi leggeri. “Non ti volevo disturbare: pensavo dormissi, malfidato!” Disse Lia, si fermò davanti a lui e gli porse un sacchetto.

“Ti ho preso due creme per le gambe. Una scalda i muscoli, l’altra li rinfresca e aiuta la circolazione. Vanno usate insieme, una dopo l’altra. Me lo ha spiegato bene la farmacista.”

Sergio prese i flaconi con delicatezza, quasi vergognandosi. “Sei un tesoro. Sempre un passo avanti a me.”

Allungò la mano e Lia gliela lasciò prendere, lasciandosi tirare piano verso di lui. La accolse tra le braccia con dolcezza paterna, la sua maglia profumava di bucato e della sua pelle e Lia vi poggiò la guancia, lasciandosi andare a quel calore familiare.

“Metterai quelle creme, papà?” Chiese, con un filo di voce che sembrava nascere direttamente dal petto.

Sergio annuì, sfiorandole i capelli biondi con le dita. “Le userò. Ma non faranno mai quello che fai tu, quando mi abbracci così.”

Continuò a stringerla con dolcezza, sussurrandole piano: “non ti merito, Lia. Ma ogni giorno ci provo, per te.”

“Lo so,” mormorò lei. E sorrise chiudendo gli occhi, due luminose pozze celesti. Si lasciò cullare da quella frase, semplice e piena come la voce di suo papà, poi, di colpo, un brivido le attraversò la schiena come uno spiffero gelido. Non avrebbe saputo dire il perché.

Ma rimase lì, appena sotto la pelle.

 
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